Bo Guerreschi:una vita a tutela dei diritti delle vittime di violenza

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Ho fatto una lunga chiacchierata con Bo Guerreschi, un’economista internazionale, nata circa cinquant’anni fa in Italia, dove è tornata dopo essersi specializzata all’estero e dopo aver lavorato per prestigiose realtà europee e statunitensi. Bo Guerreschi è la fondatrice della nota associazione bon’t worry, contro le violenze di genere e per la difesa e l’assistenza alle donne vittime di violenze.

Questa realtà, che in tre anni è stata accettata e registrata in Europa, alle Nazioni Unite e alla Union of International Associations, nasce da un’esperienza personale di angherie e soprusi subiti da parte dell’ex marito. Ogni anno la bon’t worry segue circa 700 casi, senza nessuna discriminazione che riguardi nazionalità, lingua, religione, età, sesso o condizione sociale. Vi faccio dono delle sue considerazioni in merito alla situazione attuale del suo lavoro in seno all’associazione…mi duole solo che non possiate ascoltare la sua voce dolcissima ma piena, limpida e robusta.

Dove ha trovato la forza per metabolizzare il suo dolore e per creare questa catena di bene che ha una forza trainante incredibile?

La mia forza è stata la resilienza, quindi non ho avuto solo la capacità di resistere, ma anche di ricostruire la mia dimensione, il mio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di me, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova energia per superare le avversità e soprattutto per andare oltre la mia sofferenza spesso inascoltata. Mi ritrovai, negli anni oscuri, sola con il mio dolore in un sistema giustizia che non mi ha aiutato anzi ha sottovalutato le mie denunce che andavano sistematicamente archiviate. Fu allora che capii che non vi era un vero e proprio apparato che gestiva queste problematiche complesse così nel 2015, con la collaborazione attiva e concreta dell’avvocato Licia D’Amico, ho deciso di dar vita a bon’t worry una ONLUS, INGO che ha come mission il non far sentire solo chi subisce violenza: le vittime non possono essere lasciate sole, non possono morire per poter essere ascoltate. Troppo spesso al posto della giustizia incontrano la morte o la sofferenza che le trascina in un vortice di traumi inimmaginabili da superare. Troppo spesso l’associazione combatte contro le angherie, le ingiustizie e le troppe denunce e querele finite nel silenzio o archiviate non solo sugli abusi fisici ma soprattutto psicologici ed economici, nonché sulle ripercussioni sui figli, vittime da proteggere e tutelare, sempre e comunque.

Presidente più volte lei ha pubblicamente detto e scritto “non si toccano i bambini”. Qual è il prezzo che oggi pagano i bambini che vivono in contesti difficili o subiscono violenza?

Voglio ricordare che la stessa Convenzione di Istanbul, primo strumento giuridico internazionale vincolante volto alla tutela delle donne contro ogni forma di violenza, raccomanda che gli episodi di violenza siano presi in seria considerazione soprattutto nel momento in cui si determinano i diritti di custodia e di visita dei minori. Purtroppo, come confermato dal recente rapporto del Grevio sullo stato di applicazione della Convenzione in Italia, questa indicazione risulta insufficientemente seguita nelle aule giudiziarie italiane, dove si tende a non attribuire adeguata importanza ai racconti di violenza delle donne e a trascurare così il principio del superiore interesse del minore che dovrebbe guidare ogni soluzione che lo riguardi. In Italia ci sono magistrati validi e molto competenti ma è vero anche che alcuni tribunali dimenticano che bisogna sempre tutelare l’interesse del minore e della vittima, il quale ha diritto a vivere in un contesto che valorizzi il suo sano sviluppo fisico, morale e psicologico attraverso un’adeguata assistenza affettiva e materiale, e non deve essere stressato e penalizzato ancor di più da provvedimenti disattenti o da archiviazioni repentine ed inaspettate. Per esempio se una figlia subisce violenza dal padre perché mandare la piccola, già terribilmente traumatizzata, in casa famiglia (purtroppo non tutte vengono gestite secondo normativa e alcune sono squallide) e non disporre l’affidamento esclusivo alla madre? Con troppa facilità i bambini vengono tolti alla famiglia, all’elemento sano della famiglia, non considerando il dolore di questa frattura insanabile.

Mi sta dicendo che ci sono tribunali italiani che con una certa facilità gestiscono pratiche così complesse che ovviamente sono la sintesi di storie fragili e degne di grande rispetto?

Io non mi nascondo e dico che sette tribunali in Italia, riconosciuti da fatti e casi, agiscono con troppa disinvoltura e con poca attenzione, dimenticando spesso che la violenza produce effetti e conseguenze gravissime non solo sulla donna ma anche sui figli, sia che siano essi stessi maltrattati, sia che semplicemente assistano ad episodi di violenza. I tribunali di Messina, Siracusa, Taranto, Bari, Monza, Tivoli e il tribunale dei minori di Roma gestiscono superficialmente certi casi molto delicati e vi sono ancora troppi magistrati che non dimostrano di avere le giuste competenze per affrontare situazioni così complesse. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio perché ci sono anche ottimi giudici ma purtroppo in questi tribunali le cose non sembrano funzionare bene: i bambini si allontanano con facilità dalle famiglie e alcune pratiche vengono archiviate troppo presto. Ecco anche perché molte donne hanno paura di denunciare…non si sentono protette, tutelate, credute e poi hanno il terrore di perdere il senso stesso della loro vita ovvero i figli. Noi stiamo seguendo un caso a Tivoli dove una donna è vittima di violenza domestica, economica oltre che psicologica infitta dal marito e la figlia è vittima di violenza assistita e abuso sessuale da parte del padre. Seppure la madre è stata dichiarata da tutti gli esperti che ne seguono la vicenda come una mamma attenta, per la bambina viene predisposto il collocamento in casa famiglia perché il padre maltrattante non è d’accordo a lasciare la figlia nel suo contesto naturale. Le faccio un altro esempio: a Torino la madre di due bambine si sfoga con il personale scolastico dell’istituto frequentato dalle figlie evidenziando i problemi economici della famiglia. La scuola fa partire automaticamente la segnalazione ai servizi sociali e le bambine vengono affidate ad una casa famiglia perché i genitori non vengono dichiarati idonei. Noi abbiamo prove inconfutabili che porteremo in tribunale per far capire come sono andate esattamente le cose e soprattutto per spiegare la posizione di questi genitori che da tre anni non vedono le figlie e soffrono doppiamente perché certi di non aver sbagliato nel loro ruolo genitoriale.

Abbiamo toccato il discorso economia: violenza economica e problemi economici. Visto che lei è un’economista, crede che, soprattutto in questo periodo di emergenza pandemica ed economica, ci siano donne che non denunciano perché hanno paura di rimanere senza entrate mensili?

I motivi che spingono una donna a non denunciare le violenze subite sono tantissimi, e molto delicati: la paura per sé stessa e per i suoi figli, la vergogna, la mancanza di mezzi economici e anche la riprovazione della famiglia o della comunità che quindi la porterebbe in una situazione di frustante isolamento. Molti uomini fanno leva sulla violenza economica per tenere legate a loro donne ormai private della propria libertà. Io propongo, per iniziare a fare cose intelligenti, di inserire la donna che denuncia di essere vittima di violenza economica nel Codice Rosso, ovvero nella Legge n. 69 del 19 luglio 2019 che innova e modifica la disciplina penale e processuale della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzione. Dopodiché è necessario aiutarla immediatamente, non metterla in una casa famiglia dove può trovare di tutto e di più ma concederle un alloggio momentaneo in un mini appartamento dove, aiutata a superare la situazione grazie a supporti psicologici e legali, si favorisce un sereno e consapevole reinserimento nella società. Questo bisogna fare. Noi in qualità di bon’t worry, visto che operiamo esclusivamente per finalità di solidarietà sociale, culturale, giudiziaria, nei confronti di persone svantaggiate, stiamo andando in questa direzione. I nostri asili sociali, per esempio, sono nati per dare un servizio educativo e formativo eccellente a chi non si può permettere rette importanti ma desidera un’ampia offerta didattica per i propri figli e che verranno presentati ufficialmente alla stampa tra Luglio e Settembre.

(sinistra) Bo Guerreschi – Presidente Bon’t Worry
(destra) – Alma Manera – Presidente Onorario

di Ilda Tripodi

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