Persona si dice in molti modi: una riflessione interdisciplinare

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“Persona si dice in molti modi: una riflessione interdisciplinare”, questo il tema del seminario che ha riunito nella Pontificia Università Lateranense alti profili della docenza italiana e vaticana.

Organizzato dalla Facoltà di filosofia in collaborazione con “Persona al Centro. Associazione per la Filosofia della Persona” l’incontro presentato dal Decano della Facoltà di filosofia Philip Larrey e moderato da Markus Krienke, docente presso la medesima facoltà di Lugano, ha promosso un’ampia discussione sotto i diversi punti di vista teologico, canonico, filosofico e giuridico orbitando intorno al volume presentato nella medesima occasione “Persona, centralità e prospettive” (a cura di C. Ciancio, G. Goisis, V. Possenti, F. Totaro).

Una verità sinfonica, un progetto di studi interdisciplinari con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sul pensare la persona in una pluralità di questioni che richiedono di convogliare competenze diverse. Questo ha offerto il convegno ai tanti uditori protagonisti della discussione e destinatari di fondamentali esplorazioni aperte alla transdisciplinarità tese a superare la frammentazione del sapere.

Sono stati innumerevoli gli spunti di riflessione affrontati dai relatori: il rapporto tra persona e politica approfondito dal prof. Giulio Alfano, la ricerca fenomenologica nell’analisi del “fenomeno persona” promossa dalla prof.ssa Angela Ales Bello, il ruolo della persona all’interno del diritto argomentato dal prof. Gianni Ballarani, la differenza nel modo di considerare la persona tra il diritto canonico e la morale cattolica espressa dal prof. Paolo Gherri e la crisi della medicina di fronte al concetto di persona esposta dal prof. Andrea Manto. 

Prima di entrare nel vivo delle argomentazioni la promotrice dell’iniziativa, la professoressa Flavia Silli, ci racconta cosa è “Persona al Centro. Associazione per la filosofia della persona”:

L’Associazione, nata nel 2020 in piena pandemia per iniziativa di numerosi studiosi ed esponenti di differenti discipline e professioni e presieduta dal filosofo Vittorio Possenti, persegue principalmente l’obiettivo di tornare a pensare la persona a partire dalla celebre espressione di Paul Ricoeur “meurt le personnalisme, revient la personne”, in una fase storica caratterizzata da una pluralità di questioni che ci interpellano da vicino e che richiedono di convogliare sinergie e competenze intorno al focus della persona assunta come “prospettiva delle prospettive”. L’intento comune è quello di superare i particolarismi riduttivistici e autoreferenziali dei saperi in una comprensione complessa e “polivoca”, ma sempre riconducibile al principio assiologico della persona della quale oggi nella cultura italiana, europea e mondiale, si avverte l’esigenza di tornare a riflettere, soprattutto quando si affrontano temi cruciali come diritti umani, educazione, bioetica, intelligenza artificiale. Tra gli obiettivi vorrei menzionare la promozione di ricerche e collaborazioni su scala nazionale e internazionale riguardanti le differenti “filosofie della persona” attraverso la riscoperta di tutti quelle figure di intellettuali italiani – non sempre riconosciute adeguatamente dalla storiografia filosofica corrente – che in ambito cristiano e laico hanno offerto originali contributi a un pensiero incentrato sulla nozione di persona. Altra priorità è il confronto con le nuove frontiere delle scienze di fronte all’avanzare del transumanesimo e del cosiddetto post-human debate che “sfida” la grammatica antropocentrica e trionfalistica della modernità. L’approccio di fondo dell’associazione è autenticamente dialogico pur essendo assertivo e animato dal desiderio di offrire una comprensione a tutto tondo della natura umana, di consolidare un’etica feconda e generativa, che non rinunci pregiudizialmente a una visione veritativa dell’umano. La crisi dei valori che caratterizza tanta parte della cultura contemporanea può essere affrontata seriamente solo partendo da una corretta comprensione antropologica. La riflessione filosofica da questo punto di vista costituisce un prezioso strumento al servizio del risveglio di una coscienza civile e alla formazione etico-politica, senza però identificarsi in nessuna ideologia partitica. L’auspicio è quello di creare una comunità di ricerca e in ricerca che si faccia ricerca di comunità, nella convivialità delle differenze e nella comune convinzione che per una corretta prassi democratica sia indispensabile ripensare in radice personalista le ragioni della politica, nella capacità di creare costruttive relazioni inter-personali e comunitarie. Da ultimo tengo a segnalare che le attività promosse dall’associazione intendono qualificarsi anche come valide occasioni di approfondimento e aggiornamento scientifico per i docenti delle Università e delle Scuole Secondarie Superiori; tra le finalità vorrei segnalare anche la promozione di specifici incontri di riflessione indirizzati agli studenti ed eventi pubblici per suscitare il più ampio interesse e la più larga diffusione di un umanesimo personalista.” 

Il seminario di studi “Persona si dice in molti modi: una riflessione interdisciplinare” ha visto la presenza di numerosi giovani studenti. Qual è l’impegno richiesto alle giovani generazioni per centralizzare il ruolo della persona nella società di oggi?

“Il seminario si è rivelato un’occasione preziosa per declinare “al plurale” la riflessione sulla irrinunciabilità della nozione di persona e per sensibilizzare gli studenti rispetto alla necessità di generare legami e sinergie tra le diverse discipline di appartenenza. Il riscontro è stato molto positivo, sia per la qualità degli interventi di illustri studiosi e docenti della nostra università, dalla filosofia alla bioetica, dal diritto civile e canonico ai peace studies, sia per la risonanza dei contenuti esposti nel volume edito da Mimesis e presentato in quell’occasione per far conoscere l’Associazione e intitolato significativamente Persona centralità e prospettive. Direi che si è trattato di un primo e decisivo passo verso l’attuazione del progetto associativo che è quello di porsi all’interno del dibattito culturale e di offrire esplorazioni aperte alla trans-disciplinarietà, tese a superare l’attuale frammentazione del sapere, in una concezione autenticamente integrale e di respiro universale quale è quella che coglie nella persona l’architrave dei saperi e di una pacifica convivenza tra culture e società diverse. La partecipazione attiva delle generazioni più giovani rientra tra gli obiettivi primari dell’Associazione e proprio a loro è destinato l’invito a perseguire le ricerche con uno sguardo particolarmente attento al valore-persona. L’auspicio anche in questo caso, è quello di  contribuire polifonicamente a sciogliere alcuni di quelli che nel Manifesto dell’Associazione (disponibile sul sito www.personalcentro.eu) sono definiti “nodi storici”, come l’esteriorizzazione antropologica determinata dalla pervasività della comunicazione digitale, la potenza illimitata della tecnica, il primato dell’homo oeconomicus e dell’intelligenza artificiale, la guerra e lo squilibrio eco-sistemico. Se si vuole agire a favore delle persone, dobbiamo promuovere e diffondere una concezione chiara e adeguata della persona umana, evitando che a questa parola di per sé univoca, non vengano riferiti contenuti fumosi e inconsistenti che ne decostruiscano il significato reale e profondo.”

Tra i relatori Gianni Ballarani, docente di Istituzioni di diritto privato e membro della Commissione Contenziosa del Senato della Repubblica, ci ha fornito delle riflessioni sul concetto di persona in relazione alla società, alla famiglia, ai concetti di vita e di morte e in relazione alla tutela di alcune professioni quale quella medica.

 

È sempre più frequente negli ultimi anni notare nella collettività una considerazione negativa del Diritto che si scontra con il concetto di persona. Spesso viene messa in dubbio la finalità benefica di armonizzazione e coesione sociale della legge che viene vista invece come una gabbia, un ostacolo alle libertà individuali. Dove sbaglia secondo lei la società nel pensare il Diritto e dove, forse, la giurisprudenza? 

“Non c’è un odio o una disaffezione per il Diritto piuttosto per la legge o meglio, per alcune leggi. Una disaffezione determinata da una pluralità di cause che devono essere individuate dai sociologi ma chiaro è che in taluni contesti si ritiene una previsione normativa ingiusta o si avverte l’esigenza di intervenire con disposizione normative su talune materie. Dal punto di vista prettamente giuridico il discorso cambia perché, all’indomani dell’avvento della Costituzione, si è affermata un’esigenza di liberarsi dalla gabbia stretta della norma, del dogmatismo, del positivismo puro e sono state ripensate le risposte giuridiche più in termini di principi valoriali assiologici che non in termini di stretta legge. La legge in quest’ottica viene intesa come cornice per il governo di determinate situazioni ma le stesse norme della legge devono essere oggetto di interpretazione, soprattutto valutazione rispetto al contesto sociale, storico, politico e culturale in cui tali norme devono trovare applicazione separandosi così dal contesto originario che le ha formate. In questa prospettiva, la norma diventa uno degli indici che la comunità interpretante, quindi il giurista in genere, non solo il giudice nel decidere ma anche l’avvocato nel trovare la via per tutelare gli interessi di un cliente, il legislatore medesimo nel riformare determinate posizioni, in questi contesti la norma è appunto uno degli indici che la comunità interpretante deve considerare e rispetto alla quale può anche distaccarsene ricorrendo ai principi dell’ordinamento italo-europeo in un’ottica di dialogo tra le Corti e quindi di Diritto Europeo. Tanto è che i più dirompenti risultati in positivo e in negativo, sicuramente progressisti ma non necessariamente evolutivi, sono stati ottenuti proprio attraverso questa nuova metodologia interpretativa che ricorre all’argomentazione per principi e che, per l’appunto, ha consentito di ottenere risultati al di là del quadro normativo vigente o in sua assenza; in questa ultima ipotesi o precedendo il legislatore o prescindendone o stimolandone l’intervento. Ecco quindi che per recuperare il senso della giuridicità la via è questa perché tali traguardi nascono da istanze sociali o quanto meno di parte della società la quale pone un problema che viene valutato in considerazione della meritevolezza o meno degli interessi sottesi rispetto ai paradigmi del diritto italo-europeo e che se ritenuti meritevoli di protezione comportano la risposta ordinamentale, appunto, o discostandosi dal dato normativo o prescindendone o anticipandolo.”

Oggi la famiglia è al centro del dibattito politico e sociale. Nel contesto della famiglia, e dunque della disciplina che ne deriva, il concetto di persona, la singolarità, si annulla per dare spazio a quello di nucleo familiare, società naturale fondata sul matrimonio o possiamo continuare a percepirlo? In altre parole, è la famiglia che si pone in funzione della persona o la persona che si pone in funzione della famiglia? 

“Sicuramente nel nuovo contesto ordinamentale, determinato dalla Costituzione e dalla diretta applicabilità dei principi costituzionali e poi europei, la persona assume un ruolo assolutamente centrale orientando l’azione degli Stati nonché degli interpreti. In questa prospettiva nonostante la famiglia sia tradizionalmente vista come fondamentale corpo intermedio tra lo Stato e il singolo e quindi goda di una protezione speciale, come vediamo con l’art.29 della Costituzione, negli ultimi tempi è sulla base degli interessi individuali della persona che si è venuta a modificare e moltiplicare la realtà familiare, per un verso accordando spazi di tutela alle singole istanze e per altro accogliendo sul piano del diritto modelli per il governo delle situazioni affettive calibrate sulla tipologia della situazione affettiva e quindi sugli interessi dei singoli. Questo è un dato necessitato perché sul piano costituzionale la famiglia rimane quella coniugale, al momento, ad esclusivo appannaggio delle persone di sesso differente, quindi questa moltiplicazione dei modelli familiari ha consentito di dare seguito alle istanze delle persone dello stesso sesso nonché ha consentito la previsione di modelli altri ma questa frantumazione in più realtà prima o poi pagherà il prezzo di andare inevitabilmente a ritenere la realtà affettiva come motore unico della risposta giuridica a queste esigenze e quindi tendenzialmente a ricondurre a unità i modelli. Oggi c’è una scissione tra modelli a costituzione pubblica, dove rimane immutato l’interesse dello Stato, cioè unioni civili e matrimonio, e modelli a costituzione privata quali le convivenze. Prima o poi questa dicotomica partizione dovrà essere risolta.”

San Giovanni Paolo II diceva “Non abbiate paura di difendere la vita, e tutta la vita. La vita nascente e quella che declina.” Lei, Professore, in una sua pubblicazione sul tema della tutela della vita e della morte afferma come “il progresso tecnologico e scientifico scindono la triade indivisa del sistema costituzionale composta da vita, persona e dignità”. Come può, la giurisprudenza, difendere questi valori e in particolar modo il concetto di persona? 

“Per rispondere bisogna introdurre questa tendenza a considerare l’autodeterminazione individuale come una sorta di assoluto, la scelta psichica individuale nel contesto del sano e armonico sviluppo psichico e fisico della persona diventa un che di insindacabile da parte dell’ordinamento. Ma considerata in questi termini l’autodeterminazione, bisogna chiedersi quale sia la funzione del sistema giuridico. Il diritto normalmente deve tracciare un confine tra ciò che può farsi e quello che non può farsi, lecito e illecito, confine informato a valori etici rispondenti all’etica democratica del nostro sistema. Assunta l’autodeterminazione come valore assoluto l’ordinamento dovrebbe assolvere ad una funzione servente cioè piegarsi per garantire strumenti di realizzazione di questi interessi individuali. Il limite è che in questa deriva dell’autodeterminazione come assoluto non si considera la chiave relazionale dell’ordinamento. La libera scelta ovviamente è libera ma inevitabilmente, in modo diretto e riflesso, coinvolgerà altre persone. Nonostante vi siano tendenze giurisprudenziali a considerare la vita nascente come un che di disponibile per la donna al punto che in taluni contesti  l’aborto viene considerato diritto inviolabile della persona, ovvero la fine della vita come un che di disponibile, quello che manca è la riflessione sull’altro, nonostante poi formalmente ci sia una volontà di tutela della vita nascente che però resta solo sulla carta. Questo vale tanto nel contesto dell’interruzione della gravidanza quanto delle pratiche di procreazione medicalmente assistita dove se si consente la selezione dell’embrione si consente anche lo scarto dell’embrione. Medesima cosa ma in termini differenti per il fine vita. Dal punto di vista giuridico andare a determinare per legge la facoltà di ciascuno di togliersi la vita come diritto, pone un problema serio perché se ci sono diritti ci sono doveri e allora a fronte del diritto a morire quali sono i doveri? Il dovere di procurare la morte? È chiaro dunque che si pone un problema etico fondamentale. In questi casi l’ordinamento costituzionale italiano si è sempre girato dall’altra parte. Di fronte la scelta del suicida non riuscita non va a condannare il tentativo di suicidio ciò nonostante è ovvio che il suicida ha attentato alla propria vita e quindi sarebbe il tentativo di omicidio su se stesso. La norma sul tentativo di omicidio non sarà però applicata proprio per la chiave relazionale del diritto ma non significa che autorizza al suicidio. L’ipotesi di revisionare la norma a riguardo va quindi considerata con estrema cautela, sarebbe meglio l’intervento giurisprudenziale isolato dove a seconda della situazione il giudice si assume onere e responsabilità di una decisione, senza così stravolgere il senso di un orientamento proteso verso la protezione della vita.”

“Persona si dice in molti modi” con questo affascinante titolo si è aperta la riflessione di oggi che mi ha portato a pensare ai 10.000 studenti di medicina che qualche settimana fa si sono laureati e che in gran parte tenteranno di accedere alla specialistica in ginecologia ed ostetricia. Una delle poche professioni, che in maniera più evidente, si ritrova a dover tenere in considerazione i “diversi modi di intendere la persona:” paziente, madre, figlio. Uno sforzo interpretativo importante quello del medico che spesso però la società non compie nei suoi confronti, in particolar modo di fronte a precise scelte etiche e di vita. L’obiezione di coscienza è sempre più causa di pesanti giudizi e attacchi verso una professione che ha un proprio concetto di Persona. Come tutela la giurisprudenza i diversi modi di intendere la persona e conseguentemente le azioni che tale concetto influenza?  

“Il medico è una categoria professionale sempre più vessata, soprattutto in taluni contesti: ginecologi, anestesisti, ortopedici e questo perché abbiamo assistito ad una “panrisarcibilità” dei danni attraverso un’interpretazione giurisprudenziale che inverte l’onere della prova gravando il medico dell’onere di dismontare di aver compiuto secondo linee guida il proprio operato e questo ha portato ad una deriva assoluta in ambito risarcitorio per errori professionali che ha costretto il legislatore ad intervenire con più riprese cercando di correggere il tiro e di proteggere il medico (decreto Balduzzi prima e legge Gelli Bianco poi). Sotto il profilo dell’obiezione di coscienza dobbiamo dire che è una clausola di salvaguardia legata al dovere e principio di precauzione perché è chiaro che nonostante il medico sia chiamato ad intervenire, quella chiamata ad intervenire è rivolta a salvare la vita del paziente. In quei contesti in cui il paziente esprime una volontà non legata all’esigenza fisica di salvarsi ma legata, ad esempio, ad una esigenza psichica, è chiaro che in quel contesto il medico non può non essere autorizzato ad esprimere una propria valutazione morale e non può non essere autorizzato a non procedere. Altrettanto nelle ipotesi di interruzione della vita ma il problema si pone anche con la normativa sul DAT (disposizione anticipata di trattamento). A fronte di una DAT che resa nel senso di “fai di tutto per tentare di salvarmi” (quello che normalmente si fa anche senza DAT) o una DAT che dice di non accanirsi a salvare la vita e se la situazione coinvolge un ragazzo che deve essere salvato, allora colui che procede alla rianimazione  fino a dove si può spingere? C’è la questione etica in questo caso? Se non c’è disposizione è chiaro cheì il medico farà di tutto fin quando non si scontrerà con l’impossibilità di rianimarlo ma se c’è una disposizione anticipata di trattamento in senso contrario il medico potrebbe fermarsi al primo o secondo tentativo ma se il ragazzo è sano, da un punto di vista non insistere preclude la possibilità di vita e da un altro significa avere a disposizione una pluralità di organi da espiantare per salvare altre vite. Ecco anche qui la chiave relazionale. Cosa può fare il medico? Se il medico ritiene di svolgere la propria funzione salvando la vita, può prescindere dalla DAT? Ma qua sa che si scontra con il rischio di vedersi tentata una causa di risarcimento danni per non aver rispettato quelle volontà. Resta un problema aperto.”

Un’ultima risposta, un suggerimento alla mia generazione: “Persona si dice in molti modi”, in quale modo deve dirlo un giovane aspirante giurista? 

 “Nel modo che ritiene più opportuno! Nella piena consapevolezza del senso della persona e del ruolo centrale che ha in un sistema ordinamentale informato alla protezione della persona. Tendo sempre a stimolare un approccio critico, non verso la persona ma verso talune derive semplicistiche, talune specificazioni formali che svelano un’inconsistenza sostanziale. Ieri in Senato c’è stata la bocciatura della proposta relativa all’uniformazione del gergo alle teorie del genere. Lì la giustificazione è che la parità di genere (termine molto criticato) è qualcosa tra persone di sostanziale no di formale. Spesso la via formale è l’alibi per non occuparsi delle questioni sostanziali. Il senso della parità è nel rispetto della differenza, perché è chiaro che al di là di quello che possiamo dirci, la differenza uomo-donna c’è e deve esserci perché se si annulla non si rispetterà né l’una né l’altra. Se dovessimo andare a cogliere quella deriva atomistica di distinzione sulla base della tendenza sessuale è chiaro che si frantuma la persona umana in modi di essere legati alle tendenze sessuali ed è quanto più di discriminatorio ci possa essere. Il giovane giurista deve avere un approccio critico in senso adesivo o contrario purché ragionato sulla base della grande conquista rappresentato dalla sostituzione del soggetto con la persona nel sistema ordinamentale.”

Di Francesco Roberto Innocenzi 

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Francesco R. Innocenzi

Mi chiamo Francesco Roberto Innocenzi, sono nato a Roma e studio Giurisprudenza. Dall’età di 14 anni mi impegno nel sociale e, fedele ai principi dell’etica, mi appassiona promuovere la Cultura in ogni sua forma!
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