Il dialogo arricchisce la diversità

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“L’interculturalismo” è un concetto importante sulla bocca del mondo contemporaneo, per alcuni un tabù, per altri un mantra!

Giorno dopo giorno, instancabilmente, il mondo ci chiede di conoscere, di apprezzare, di condividere; ogni giorno il mondo ci impone di “fare cultura”, ampliare la propria incontrando quella altrui. Ogni stretta di mano in questo secolo è diventata un gesto culturale, di accoglienza e di pace, di accordo e di apertura, un gesto che unisce due persone ponendole in comunione tra loro ma più acquisisce questo significato e più diminuiscono coloro che sanno porgere la mano. Più il mondo ci parla, più l’uomo impara a non ascoltare. 

Nel tempo, l’atteggiamento di una simile società statica, non ha fatto altro che accumulare mutamenti che si sono mostrati all’uomo improvvisamente, trovandolo impreparato e dunque incapace a rispondere e quindi adattarsi. Da tale punto di vista sono spiegabili le inefficaci, a volte inesistenti, politiche di accoglienza di molti Stati, volte a ritardare il bisogno di multiculturalismo piuttosto che a valorizzarlo. 

Le migrazioni di massa sono oggi una dura prova per la società occidentale ma rappresentano un buon metro di paragone per valutarne il progresso. Quotidianamente ci troviamo ad ascoltare le storie di innumerevoli donne, uomini e bambini che partono dalle loro terre di origine alla ricerca di un futuro migliore: i “migranti”, un termine che spesso maschera la persona che ne viene appellata, la loro cultura e la diffusa incapacità di accoglienza che però, fortunatamente, non è in grado di frenare il processo di evoluzione e integrazione che vivifica il mondo. 

Non deve essere un confine di Stato a dire chi è migrante e chi no, può farlo il confine del senso di umanità che se oltraggiato ci classica, se rispettato ci definisce tutti cittadini di una casa comune o migranti di un mondo che possiamo e dobbiamo imparare ad ascoltare. Paradossale come l’essere umano superi così facilmente questo senso di umanità, ma apprezzabile il fatto che sia in grado di riconoscerlo e si mostri disponibile a porre rimedio con mirate politiche sociali. Una serie di provvedimenti, campagne di sensibilizzazione che partono dalle scuole, si pongono l’obiettivo di “accettare l’altro” dimenticandosi però che in quel “altro” usato spesso inconsapevolmente, è sottintesa ancora un volta una separazione, una distanza che per l’appunto si chiede di “accettare” invece di comprendere. 

Se le nuove generazioni saranno in grado di porsi nella condizione di conoscere e accogliere le culture diverse dalla propria, allora potremo dire di aver raggiunto il tanto ambito multiculturalismo ma come si può insegnare a un bambino a non rubare rubando, come si può insegnare ad accogliere costruendo muri, come si può insegnare qualcosa che non si sa fare e come può la società essere così vigliacca da pulirsi la coscienza promovendo politiche di accoglienza quando non ha l’interesse di attuarle. Innumerevoli volte l’Italia si è sentita fare simili commenti ma ha saputo farne tesoro divenendo oggi un esempio di accoglienza, sicuramente cosciente di poter fare di più ma consapevole anche di saper insegnare, a molti, come si fa.  

Saper dialogare con altre culture permette di conoscere meglio la propria, a volte consente di integrarla e ampliarla, una cura senza effetti collaterali che solamente i docenti, in questo momento storico, possono prescrivere. La scuola deve insegnare che la diversità esiste ma che non implica un’avversione. Ogni compagno di banco, potendo provenire da qualunque parte del mondo, da qualunque classe sociale (se di “classi” possiamo parlare), da qualunque tradizione familiare, può culturalmente arricchire ed essere arricchito. Tutti a malincuore dobbiamo però chiederci, davanti ad un giovane non in grado di accettare una simile situazione, il perché, e impegnarci tutti affinché comprenda anche lui che “sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli” come il Santo Padre ci insegna.  

Di Francesco Roberto Innocenzi 

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Francesco R. Innocenzi

Mi chiamo Francesco Roberto Innocenzi, sono nato a Roma e studio Giurisprudenza. Dall’età di 14 anni mi impegno nel sociale e, fedele ai principi dell’etica, mi appassiona promuovere la Cultura in ogni sua forma!
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